Quella che segue è una rielaborazione di appunti a partire dal testo di Paolo Viola, Storia moderna e contemporanea, Volume quarto, Il Novecento, Einaudi, Torino, 2000, pp. 182-241.
Caduta del fascismo e armistizio
Italia, 1943. La popolazione civile in Italia si distaccava sempre di più dal regime fascista e dalla sua guerra. Le città erano martellate dai bombardamenti alleati. La guerra sempre più disastrosa in Francia, in Grecia, in Africa, in Russia, seminava lutti che apparivano, a differenza di quelli della prima guerra mondiale, inutili e ingiustificati. Ogni famiglia aveva i suoi soldati persi in paesi lontani: morti o prigionieri.
I gravissimi costi umani contrastavano penosamente con le parole tronfie del regime. «Spezzeremo le reni della Grecia» aveva detto Mussolini nel 1940; e di fronte allo sbarco angloamericano in Sicilia aveva dato ordine di «congelare il nemico sulla linea del bagnasciuga». Ma l’esercito italiano era incapace di opporre resistenza (ad esempio con forze numericamente sei volte inferiori a quelle alleate pronte allo sbarco).
Il consenso di massa si era sgretolato con il progressivo manifestarsi della sconfitta. Nel marzo 1943 gli operai di Torino e Milano proclamarono lo sciopero generale, sfidando la repressione militare di un paese in guerra. Gli industriali, d’altra parte, non trovavano più alcuna convenienza ad appoggiare un potere che portava il Paese alla disfatta. Il Vaticano si distanziava da una complicità politica che rischiava di coinvolgere la Chiesa cattolica nel disastro del fascismo. Anche la monarchia cercava una soluzione che salvasse la continuità della corona e dell’esercito.
Si poteva cercare di liquidare Mussolini mantenendo però i fascisti moderati al potere. Oppure far cadere l’intero regime e chiamare a governare i partiti antifascisti. Prevalse una soluzione intermedia, quella di un «governo tecnico». Pochi giorni dopo lo sbarco in Sicilia, il 25 luglio 1943, fu presentato al Gran consiglio del fascismo un odg per la deposizione di Mussolini: iniziativa approvata con 19 voti a favore, 7 contrari e un astenuto. Il re predispose la sostituzione del duce che fu arrestato nella notte. Al potere fu chiamato non un politico, bensì il maresciallo Pietro Badoglio.
La gente esultava nelle strade e nelle piazze. Sembrava finita la guerra e rovesciata definitivamente la dittatura. Non era così, e il peggio doveva ancora arrivare; ma per il momento una grande ventata di speranza percorse il Paese. I partiti antifascisti, che avevano cercato di sopravvivere nella clandestinità, cominciarono ad uscire allo scoperto, chiedendo un impegno dell’Italia a fianco degli alleati.
Tuttavia il fascismo non era ancora finito. Il governo non voleva allarmare la Germania, sebbene avesse avviato in segreto trattative con gli angloamericani per l’armistizio. I tedeschi concentrarono in Italia un esercito di occupazione. In breve si arrivò all’8 settembre, data dell’armistizio col quale l’Italia cambiava schieramento, diventando «cobelligerante»: cioè faceva la guerra insieme con gli angloamericani contro i tedeschi.
Lo stesso 8 settembre, il re e Badoglio scapparono da Roma e si misero sotto la protezione degli alleati che negli stessi giorni sbarcavano a Salerno e occupavano l’Italia del sud. Quasi contemporaneamente un commando tedesco riusciva a liberare Mussolini detenuto in una località segreta del Gran Sasso, in Abruzzo. Fu portato in Germania, per essere utilizzato come capo di un governo fantoccio da organizzare nell’Italia del nord. L’Italia si spaccava in due per un anno e mezzo.
L’unità della nazione ottenuta col sangue delle guerre risorgimentali, l’identità stessa degli italiani dovevano essere ricostruite, rifondate. Da che parte stava l’Italia? Per che cosa si stava facendo la guerra? Il regime era in sfacelo. Il re e il governo scappati. L’esercito allo sbando. I soldati cercavano di tornare a casa in qualunque modo. Al Sud c’era l’esercito angloamericano, al nord quello tedesco.
La Resistenza e la Repubblica di Salò
Pochissimi furono i reparti militari che si schierarono contro l’ex-alleato tedesco, prendendo sul serio la cobelligeranza. Fra questi alcuni di stanza a Roma. A Cefalonia. Ma la grande maggioranza si sbandò e centinaia di migliaia di ragazzi si avviarono verso casa.
In Piemonte alcune unità si diedero alla guerriglia. In tutta l’Italia settentrionale molti soldati sbandati furono intercettati da militanti antifascisti, che li portarono in montagna e cominciarono ad organizzare bande di resistenti. A questi si unirono i volontari antifascisti: operai, intellettuali, contadini. Nacquero così le unità combattenti della Resistenza, e i Comitati di Liberazione Nazionale che cominciarono a rieducare alla politica un Paese soffocato da vent’anni di dittatura. I partigiani formarono il Corpo dei Volontari della Libertà, alla cui testa era il Comitato di Liberazione Nazionale dell’Alta Italia, a sua volta in contatto con il CLN nazionale che operava politicamente nell’Italia del Sud sotto controllo alleato.
Senza l’appoggio della popolazione, le bande partigiane non avrebbero certo potuto combattere contro i tedeschi, e se riuscirono a combattere, e poi a vincere, lo dovettero al grande effetto moltiplicatore di forze che avevano avuto la caduta del fascismo e la speranza della pace.
I partigiani furono inquadrati nelle Brigate Garibaldi, comuniste; in Giustizia e Libertà, sinistra democratica; nelle Brigate Matteotti, socialiste; ma erano numerosi anche i cattolici e gli autonomi. Nelle città operavano i GAP (Gruppi di Azione Patriottica) che forse rischiavano la vita ancora di più dei partigiani in montagna, e vivevano in assoluta clandestinità.
Sotto l’occupazione tedesca, alla fine di settembre 1943 nacque nell’Italia settentrionale la Repubblica Sociale Italiana, diretta da Mussolini, con capitale a Salò, sul Garda. Tornarono le camicie nere: chiamati alle armi, ma anche volontari. In migliaia, soprattutto giovanissimi, si arruolarono liberamente. Fu un ritorno di fiamma del fascismo delle origini, motivato dal presunto riscatto di un onore nazionale calpestato dal «tradimento» del 25 luglio e dell’8 settembre. La Repubblica di Salò fu una pura facciata di un regime tragicamente feroce, asservito alle SS peggio del governo collaborazionista di Vichy.
La Resistenza fu una guerra patriottica per la libertà e la democrazia, che riprendeva la tradizione repubblicana e risorgimentale, e la portava a compimento. Pur nei suoi squilibri regionali, la Resistenza era una rivoluzione nazionale e democratica che poneva le basi di una coscienza nazionale popolare e di istituzioni politiche rinnovate. Anche molte donne furono coinvolte nella lotta armata, soprattutto per assicurare i contatti fra i comandi e le unità.
La Resistenza fu anche una guerra di classe: fu l’occasione per fare quella rivoluzione socialista che nel biennio rosso era stata sconfitta dal fascismo montante. Partigiani comunisti, ma anche socialisti, cattolici e i democratici di GL pensavano che dopo la vittoria l’Italia sarebbe stata un paese governato dai lavoratori. Era questo l’aspetto che impensieriva maggiormente gli alleati angloamericani.
La Resistenza fu anche una guerra civile: e come in ogni guerra civile entrambe le parti usarono forme spicce di violenza. Ma i nazifascisti furono incomparabilmente più feroci: la loro fu una politica del terrore sistematico; nazifascista fu la volontà indiscriminata di annientamento della popolazione civile accusata di viltà e razzialmente disprezzata. La deportazione di ebrei e di giovani validi, i massacri di civili inermi perpetrati dai tedeschi con la complicità dei repubblichini testimoniarono la vera e propria orgia di morte e distruzione che si impadronì dei nazifascisti.
La Resistenza si rafforzava con questi orrori. Più i nazifascisti si abbandonavano alla barbarie, più il sostegno popolare della lotta partigiana aumentava. Nel secondo inverno della Resistenza, 1944-45, tedeschi e repubblichini erano ormai come una belva ferita che seminava morte, mentre una larga maggioranza popolare si formò per sostenere il riscatto nazionale contro il fascismo.
La liberazione
All’inizio del 1944 era ormai chiaro che i tedeschi avrebbero perso la guerra. Gli alleati sfondarono il fronte italiano fra Napoli e Roma nella primavera e liberarono Roma il 4 giugno, due giorni prima dello sbarco in Normandia. Nella stessa estate del ’44 gli alleati liberavano la Toscana e portavano il fronte alla cosiddetta «linea gotica», lungo l’Appennino tosco-emiliano dove si stabilizzò per tutto l’inverno.
Nelle città italiane sventrate dai bombardamenti i liberatori entravano accolti dalla popolazione con vere e proprie esplosioni di gioia. Portavano la pace e la libertà, cibo e soldi; i bambini si arrampicavano sui carri armati e ricevevano dolci, sigarette americane. Ma il tessuto sociale era drammaticamente lacerato. Parte della popolazione aveva collaborato coi tedeschi, un’altra parte aveva appoggiato la Resistenza: gli episodi di giustizia sommaria si moltiplicarono a migliaia.
Nelle città dell’Italia settentrionale il giorno della liberazione fu il 25 aprile 1945. Gli alleati, sfondata la «linea gotica», avanzavano nella pianura padana. Le formazioni partigiane diedero allora l’assalto decisivo alle città ed entrarono a Torino e Milano, riuscendo in molti casi a salvare gli impianti industriali (a Genova il porto) prima che i tedeschi potessero farli saltare. Era un evento di grande valenza simbolica: i partigiani, lavoratori in armi, avevano salvato le fabbriche che la classe dirigente borghese aveva portato allo sfacelo, affidandole ai fascisti e ai tedeschi, che ora le distruggevano in fuga. Mai come allora la classe operaia si era presentata con le carte altrettanto in regola per diventare la classe dirigente del paese.
Il 2 giugno dell’anno successivo gli italiani si espressero con un referendum a suffragio universale (comprese le donne, che votavano per la prima volta in una consultazione politica nazionale) in favore della nascita della Repubblica. Quello stesso giorno nacque l’Assemblea Costituente che nei due anni successivi compose i 139 articoli della Costituzione della Repubblica Italiana, entrata in vigore il 1° gennaio 1948.
Piero Calamandrei, parlando della carta costituzionale, disse in un famoso discorso diretto ai giovani:
Dietro a ogni articolo di questa Costituzione, o giovani, voi dovete vedere giovani come voi, caduti combattendo, fucilati, impiccati, torturati, morti di fame nei campi di concentramento, morti in Russia, morti in Africa, morti per le strade di Milano, per le strade di Firenze, che hanno dato la vita perché la libertà e la giustizia potessero essere scritte su questa carta. […] Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero perché lì è nata la nostra Costituzione.
Piero Calamandrei, Discorso agli studenti sulla Costituzione Italiana, Milano, 26 gennaio 1955.