Velocità: tempo della storia e tempo del racconto

Ernest Hemingway Collection. John F. Kennedy Presidential Library and Museum, Boston.
Ernest Hemingway Collection. John F. Kennedy Presidential Library and Museum, Boston

Sotto l’egida di Papa Hemingway cercherò di spiegare il concetto di velocità in un testo narrativo.

Come in un articolo precedente (vedi), chiarisco subito l’uso che faccio di due termini basilari: la forma che assume un testo narrativo verrà chiamata d’ora in poi RACCONTO, mentre il contenuto verrà chiamato STORIA.

«Ci sono romanzi» dice Umberto Eco «che respirano come gazzelle e altri che respirano come balene, o elefanti»: questo respiro dipende dalla complessa organizzazione della “macchina” del tempo del RACCONTO, ed in particolare della velocità (o durata, sottocategoria del tempo secondo lo strutturalista Genette), che condiziona il ritmo della lettura.

Soffermiamoci dunque ad analizzare la velocità nel RACCONTO. È come se il narratore disponesse del telecomando di un lettore dvd e stabilisse quando usare il tasto play o quando mettere l’immagine in pausa (magari per soffermarsi sulla descrizione di un volto o per giudicare o commentare qualcosa),  quando andare veloce o quando saltare in avanti (magari per risparmiarci una parte noiosa). Immaginiamolo proprio questo telecomando. In particolare visualizziamo questi quattro tasti che ci saranno utili relativamente a quanto dirò fra poco.

Play
Play
FFWD
Pause
Pause
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Skip

Un evento ‘vissuto’, di solito, comporta un’estensione temporale diversa rispetto a quella dei fatti quando questi sono raccontati: l’arco di tempo reale degli avvenimenti, voglio dire, non corrisponde quasi mai al tempo che tali avvenimenti hanno nella narrazione (o viceversa, se vuoi).

Il narratore opera sempre una selezione degli avvenimenti, tacendo o sintetizzando quelli scarsamente significativi, descrivendo o ampliando in altro modo quelli più importanti. Gli eventi narrati, generalmente, non hanno la stessa durata nella vicenda: nella narrazione il trascorrere di anni può essere condensato in poche righe o, per assurdo, lo spazio di qualche minuto può essere dilatato tanto da occupare molte pagine.

Pragmaticamente, noi misuriamo il tempo in minuti, ore, giorni, mesi, anni; mentre la durata del tempo della narrazione corrisponde alla lunghezza (in righe, paragrafi, capitoli) del testo narrativo, che determina poi la durata del tempo della lettura… Con questi due parametri possiamo dire che il tempo della STORIA, dunque, è in relazione con la durata reale dei fatti narrati, mentre il tempo del RACCONTO si collega alla durata che gli avvenimenti occupano sulla pagina.

Se si incontra una concordanza tra il tempo impiegato a narrare gli eventi e il tempo in cui tali eventi accadono possiamo parlare di isocronia:

tS/tR = 1

se invece il tempo impiegato a narrare gli eventi non coincide con il tempo in cui essi accadono possiamo parlare di anisocronia:

tS/tR ≠ 1

L’effetto dell’isocronia è evidente nei dialoghi: tale situazione si chiama scena (tS = tR). Il tempo della STORIA è approssimativamente uguale al tempo del RACCONTO, cioè al periodo che sarebbe stato richiesto nel mondo reale per un’azione analoga.

L’effetto dell’anisocronia prevede invece tre diverse tipologie:

  • il sommario: il tempo della STORIA è più veloce della durata del RACCONTO (tS > tR); il narratore cioè accelera il ritmo del racconto sintetizzando certi avvenimenti sui quali non ritiene necessario soffermarsi, ma la cui conoscenza giudica utile per il lettore ai fini della comprensione globale del discorso;
  • la pausa: il tempo della STORIA si ferma (tS <∞ tR); una parte del testo non trova corrispondenza nel tempo della STORIA (di solito questa parte è occupata da descrizioni o digressioni narratoriali che determinano stasi o rallentamento nell’azione);
  • l’ellissi: il tempo della STORIA è velocissimo, mentre la durata del RACCONTO tende a zero (tS ∞> tR); il narratore omette completamente uno o più eventi perché non necessari ai fini della comprensione del testo.

NB: il simbolo <∞ e il suo opposto ∞> designano, rispettivamente, ‘infinitamente più piccolo‘ e ‘infinitamente più grande‘.

Per approfondire fornisco una bibliografia più che essenziale:

  • Umberto Eco, Sei passeggiate nei boschi narrativi, Bompiani, 1994.
  • Gérard Genette, Figure III. Discorso del racconto, Einaudi, 1976, pp. 135-161.
  • Ugo Volli, Narrazione, in Il nuovo libro della comunicazione, il Saggiatore, 2007, pp. 158-178.

Ordine: tempo della storia e tempo del racconto

Copertina dell'edizione tascabile degli Exercises de style di Raymond Queneau (Èditions Gallimard, Paris)
Copertina dell’edizione tascabile degli Exercises de style di Raymond Queneau (Èditions Gallimard, Paris)

Premessa terminologica: la forma che assume un testo narrativo verrà chiamata RACCONTO, mentre il contenuto verrà chiamato STORIA.

Il tempo della STORIA è determinato da una struttura cronologico-causale; lo possiamo immaginare come una retta nella quale si collocano le azioni narrate.

=== 1. === 2. === 3. ============= 4. === 5. ==⇒

Il tempo del RACCONTO rappresenta il modo in cui la STORIA viene raccontata, con salti, rallentamenti, anticipazioni, flash back. È quello che alcuni chiamano intreccio (mentre la STORIA viene intesa come fabula).

Nulla vieta che i due ordini, nei casi più semplici, coincidano:

tS = tR

(ovvero, per i logico-matematici: tS / tR = k)

Avremo così un testo narrativo con un RACCONTO CRONOLOGICO, superlineare, come l’esempio della retta di cui sopra.

Talvolta, invece, il RACCONTO è più complesso e più ricco della STORIA e rispetto ad essa è modificato da spostamenti in avanti, inversioni, salti, ecc. Quindi tempo della STORIA e tempo del RACCONTO non coincidono:

tS ≠ tR

(ovverosia, sempre per i logico-matematici: tS / tR ≠ k).

Avremo così un testo narrativo con un RACCONTO ANACRONICO, nel quale compaiono due figure particolarmente importanti. Si tratta di quei salti o sguardi all’indietro (ricordi, spiegazioni, flash back) chiamati analessi o in avanti (previsioni, anticipazioni) chiamati prolessi.

Sembra qualcosa di molto complicato, ma in realtà noi stessi, raccontando un qualsiasi avvenimento che ci è capitato, possiamo fare uso di analessi e di prolessi. Ce lo ricorda Umberto Eco in un suo famoso saggio:

Accade anche quando qualcuno ci racconta un fatto qualsiasi: “Senti questa, ieri ho incontrato Piero, forse ti ricordi, è quello che due anni fa andava a correre tutte le mattine (analessi). Bene, era pallido, e ti dirò che ho capito solo dopo il perché (prolessi), e mi dice – ah, avevo scordato di dirti che quando l’ho visto stava uscendo da un bar, ed erano solo le dieci di mattina, capisci (analessi) – dunque Piero mi dice che – mio Dio, ti sfido a indovinare che cosa mi ha detto (prolessi) –  dunque mi dice che…” (Umberto Eco, Sei passeggiate nei boschi narrativi, Bompiani, Milano, 1994).

Non c’è due senza tre, così, accanto a RACCONTO CRONOLOGICO e RACCONTO ANACRONICO possiamo trovare, eccezionalmente, il RACCONTO ANTICRONOLOGICO dove tR (ormai dovresti afferrare al volo ciò che intendo) non solo non coincide, ma è del tutto ribaltato rispetto a tS. In questo caso gli esempi in letteratura sono pochi e si tratta quasi sempre di sperimentazioni di scrittura creativa. Te ne propongo uno classico: si trova negli Esercizi di stile di Raymond Queneau (la stessa STORIA è raccontata seguendo un ordine superlineare – in Notazioni – e ribaltato – in Retrogrado)

Notazioni

Sulla S, in un’ora di traffico. Un tipo di circa ventisei anni, cappello floscio con una cordicella al posto del nastro, collo troppo lungo, come se glielo avessero tirato. La gente scende. Il tizio in questione si arrabbia con un vicino. Gli rimprovera di spingerlo ogni volta che passa qualcuno. Tono lamentoso, con pretese di cattiveria. Non appena vede un posto libero, vi si butta. Due ore più tardi lo incontro alla Cour de Rome, davanti alla Gare Saint-Lazare. È con un amico che gli dice: «Dovresti far mettere un bottone in più al soprabito». Gli fa vedere dove (alla sciancratura) e perché.

Retrogrado

Dovresti aggiungere un bottone al soprabito, gli disse l’amico. L’incontrai in mezzo alla Cour de Rome, dopo averlo lasciato mentre si precipitava avidamente su di un posto a sedere. Aveva appena finito di protestare per la spinta di un altro viaggiatore che, secondo lui, lo urtava ogni qualvolta scendeva qualcuno. Questo scarnificato giovanotto era latore di un cappello ridicolo. Avveniva sulla piattaforma di un S sovraffollato, di mezzogiorno. (Raymond Queneau, Esercizi di stile, Einaudi, Torino, 1983).

Un altro esempio anticronologico, filmico questa volta: